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“Apprendimento visibile, insegnamento efficace” di John Hattie: la recensione

John Hattie, apprendimento visibile Questo libro non si rivolge solo agli insegnanti di italiano L2 o LS, ma ai docenti di qualsiasi materia. Perché allora ne parliamo qui su adgblog? Perché ci mostra attraverso rigorose ricerche scientifiche quali sono i metodi e le strategie didattiche che sono effettivamente efficaci. Apprendimento visibile, insegnamento efficace. Metodi e strategie di successo dalla ricerca evidence-based di John Hattie (Edizioni Centro Studi Erickson, 2016) è un libro che dovrebbe essere letto e studiato sia da chi abbia intenzione di mettersi a insegnare, sia da chi già insegna, a prescindere dalla propria materia.

Abbattimento degli stereotipi didattici

La bocciatura può avere effetti positivi sullo studente? È utile tenere lezioni frontali? Maschi e femmine apprendono diversamente? I compiti a casa servono a qualcosa? Hattie risponde a queste e a molte altre domande in modo chiaro e con i fatti: le sue ricerche evidence-based, che si basano su 931 metanalisi che hanno coinvolto oltre 240 milioni di studenti nel mondo, costituiscono un’enorme quantità di dati che ci sono utili per capire cosa funziona e cosa no nell’apprendimento.

Che cos’è la ricerca evidence-based?

Evidence nella sua traduzione più generica, significa “prova” e l’Evidence Based Education (EBE) ne fa il perno principale della sua ricerca: “l’integrazione delle capacità di giudizio professionali con le migliori evidenze empiriche disponibili nella presa di decisioni didattiche.” Ma cosa significa praticamente? Che spesso nella pratica didattica procediamo per sentito dire, per tradizioni, per esperienze personali e questo modo di fare è talmente radicato da assurgere a pratica didattica incontrovertibile. L’EBE invece ci dimostra che molte delle nostre decisioni didattiche sono sbagliate e ci indica che cosa funziona e in quali circostanze.

L’effect size

Per calcolare l’effetto di una pratica didattica sull’apprendimento, John Hattie ha creato una scala chiamata effect size che permette di confrontare i risultati ottenuti dall’analisi della stessa pratica. Quando una pratica didattica risulta avere un effect size uguale a zero significa che non ottiene nessun effetto sull’apprendimento, né negativo, né positivo. Se una pratica didattica porta l’indice dell’effect size sotto lo zero significa che è controproducente; al contrario se è sopra lo zero è efficace. Per rendersi meglio conto di ciò di cui stiamo parlando, teniamo presente che l’effect size peggiore sull’apprendimento è dato dal cambiamento di scuola (-0.34) mentre il più alto è l’autovalutazione e le aspettative dello studente (+1.44). L’elenco degli effetti sul rendimento conta 150 voci, di cui solo le ultime cinque si trovano sotto lo zero (vacanze estive, assistenza sociale alle famiglie, bocciatura, televisione e il già citato cambiamento di scuola).

Pratiche didattiche che funzionano

Se guardiamo gli effetti delle pratiche didattiche sull’apprendimento noteremo che quasi la loro totalità ha il segno positivo, questo perché qualsiasi cambiamento venga apportato nella didattica dall’insegnante o dalla scuola, ottiene un miglioramento. Tuttavia Hattie ha valutato che solo ciò che si trova sopra l’effect size medio, ovvero 0.40, produce un consistente miglioramento dell’apprendimento. La media di 0.40 è quindi considerata la soglia di efficacia. Per esempio l’effect size dei già citati e famigerati compiti a casa risulta essere di 0.29 quindi la loro utilità è molto bassa, così come le differenze di rendimento fra maschi e femmine (0.12). Effetti importanti sull’apprendimento si hanno invece se un insegnante sa dare dei validi feedback (0.75) e soprattutto quando è alta la sua credibilità agli occhi degli studenti (0.90); sorprendentemente, o forse no, è molto poco efficace ai fini dell’apprendimento la conoscenza della propria disciplina (0.09). Questi sono solo alcuni dei moltissimi dati che si possono trovare in Apprendimento visibile: oltre a conoscere l’effetto delle pratiche didattiche sarà utilissimo leggere questo libro per capire come applicarle, quale lavoro fare sui nostri studenti e soprattutto su noi stessi.

L’insegnante al centro

“Sappiamo che, nel nostro sistema, la fonte controllabile di varianza riguarda l’insegnante, e che anche l’insegnante migliore ha effetti variabili sugli studenti. Il punto, in questo libro, è che gli insegnanti, le scuole e i sistemi scolastici devono avere in ogni momento consapevolezza, ed evidenze attendibili, del loro effetto su tutti gli studenti e, sulla base di questa evidenza, decidere come e cosa insegnare.” (p. 244) L’insegnante è il punto cardine del libro, su di esso si orienta tutto l’apprendimento: purtroppo Hattie ci conferma che una delle cose più difficili è convincere gli insegnanti a cambiare i loro metodi di insegnamento che di solito sono metodi ereditati dalla loro esperienza di studenti e che vengono usati, con piccole variazioni, per tutta la loro carriera. L’autore non raccomanda l’uso di un particolare metodo, ma spiega chiaramente che reiterare lo stesso approccio non è efficace: “se gli studenti non cambiano, nell’apprendimento, allora dobbiamo cambiare noi insegnanti.” (p. 155).

Il ruolo dell’insegnante, la lezione e le formae mentis

Il libro è diviso in 3 parti: nella prima si parla del ruolo dell’insegnante e della sua fondamentale importanza all’interno del processo educativo. Nella seconda parte vengono analizzate le lezioni spiegando dettagliatamente cosa succede nelle loro fasi (preparare la lezione, iniziarla, svolgerla e concluderla). Infine l’ultima parte affronta le formae mentis di insegnanti, dirigenti e sistemi scolastici. In ogni sezione del libro si trovano utili consigli, suggerimenti e strategie per rendere efficace l’insegnamento. Se affrontiamo la lettura di questo libro con la mente aperta e siamo pronti a mettere in discussione le nostre certezze, ma a volte anche a confermarle, il nostro insegnamento otterrà sicuramente dei benefici che si ripercuoteranno sull’apprendimento dei nostri studenti. 

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