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Scioperando ovvero perché gli italiani fanno sciopero

il quarto stato di Pellizza da VolpedoL’Italia appare agli occhi di molti stranieri anche come il paese degli scioperi. In confronto ad altre nazioni, in un anno se ne registrano tantissimi di ogni tipo. Vi è persino una pagina di kataweb chiamata “scioperometro” che tiene aggiornati sulla situazione. Naturalmente non si contano le facili battute sull’argomento che riflettono certi stereotipi sugli italiani. Ad esempio non è raro sentir dire, magari con accento inglese o teutonico: “italiani pigri, quindi loro piace sciopero” (sic). Scherzi a parte, vi siete mai chiesti perchè in Italia ci sono così tanti scioperi? Questo post non si propone certo di dare una risposta esaustiva a questa difficile domanda, quanto piuttosto di fornire link e risorse sul web, grazie ai quali ognuno potrà approfondire la questione o farsi un’opinione in merito. Innanzitutto consigliamo il breve articolo di wikipedia, in cui si troveranno le varie tipologie dello sciopero (generale, settoriale, bianco, a gatto selvaggio, ecc.) e gli aspetti legali. Si scoprirà così che il diritto di sciopero è stato riconosciuto per la prima volta dalla costituzione nel 1948, anche se i primi scioperi si erano avuti già alla fine dell’ottocento. A tal proposito si veda l’interessante video sul sito della CGIL, marsigliese contadina di Renato Guttusouna delle tre grandi organizzazioni sindacali italiane, che ha appena compiuto 100 anni. Nello stesso sito si può anche ascoltare la singolare storia dello sciopero delle bustaie che nel 1907 durò per oltre 50 giorni. Una delle cause per cui Mussolini riuscì a andare al potere fu anche la paura degli scioperi da parte della classe borghese, la quale preferì appoggiare un dittatore che prometteva sicurezza e repressioni verso gli scioperanti, piuttosto che concedere diritti e aumenti di salario ai lavoratori:
“La crisi economica del dopoguerra, la disoccupazione e l’inflazione crescenti, la smobilitazione dell’esercito (che restituì alla vita civile migliaia di persone), i conflitti sociali e gli scioperi nelle fabbriche del nord, l’avanzata del partito socialista divenuto il primo partito alle elezioni del 1919, crearono, negli anni 1919-1922, le condizioni per un grave indebolimento delle strutture statali e per un crescente timore da parte dei ceti agrari e industriali di una rivoluzione comunista in Italia sul modello di quella in corso in Russia”. Voce “fascismo“di Wikipedia.
Dopo la seconda guerra mondiale si capisce quindi perché il diritto allo sciopero sia divenuto per molti italiani una delle più importanti rivendicazioni sociopolitiche da difendere e sostenere. La costituzione italiana, oltre al riconoscimento, ha però anche regolamentato le modalità dello sciopero, non ammettendo in genere scioperi selvaggi o a oltranza. Con l’andare degli anni gli scioperi si sono fatti sempre più frequenti, passando da strumenti di lotta a eventi di routine quotidiana e talvolta di fastidio per molti utenti del servizio pubblico. Molti stranieri rimangono colpiti dalle precisione nella gestione di certi scioperi dei giorni nostri, come quando in occasione di uno sciopero degli autobus ad ogni fermata si trova un avviso con l’orario esatto dell’interruzione del servizio. In molti paesi questo sarebbe impensabile (mi dicono) perché una tale “organizzazione” non creerebbe il disagio voluto dagli scioperanti.
Se entriamo nel sito del Senato possiamo poi leggere un atto recente di alcuni parlamentari che solleva proprio la questione:
“il diritto di sciopero è garantito dalla Costituzione italiana, ex articolo 40, e, con riferimento ai servizi di pubblica utilità (come trasporti e sanità), è regolamentato dalla legge che stabilisce le modalità e i tempi dello sciopero sanzionando eventuali violazioni. In alcuni servizi di interesse pubblico lo sciopero può essere annullato di fatto tramite la precettazione da parte delle autorità di pubblica sicurezza, dei trasporti o della sanità;
la Costituzione sancisce e garantisce tuttavia anche il diritto alla libertà di circolazione per tutti i cittadini;
esistono diverse modalità di svolgimento dello sciopero, non tutte legittime. La linea di discriminazione della legittimità di uno sciopero risiede nel principio giurisprudenziale della proporzionalità tra l’astensione ed il danno recato al datore di lavoro…”

Come si vede la questione non è ovviamente affatto semplice. Resta il fatto che in Italia lo sciopero è ancora per molti lavoratori dipendenti un mezzo pacifico e civile per rivendicare certe priorità nel mondo del lavoro. Non è naturalmente così in molte parti del mondo. Singolare a proposito è la posizione dei giapponesi nei confronti dello sciopero (parola che ricordiamo deriva dal latino “exopero”, cioè non opero, non lavoro, quasi una bestemmia per l’iperproduttivismo del mondo nipponico): nel paese del sol levante è risaputo che non ci sono mai scioperi e questo perché fare sciopero sarebbe per i giapponesi un’offesa verso la propria azienda-famiglia, nei confronti della quale bisogna essere riconoscenti per il lavoro che ci offre. E’ proprio il caso di dire:”paese che vai…”

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