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Declino (e declinazioni) della democrazia: la mostra alla Strozzina di Firenze

Democrazia: parola dall’etimologia greca, che contiene la parte démos, ovvero “popolo” e kràtos, “potere, forza”. Declining: in declino, che volge al termine, ma anche rifiuto (declinare un invito) e in linguistica declinare (un verbo).

Ser y durar (2011) - Democracia

La mostra che ha aperto i battenti della CCC Strozzina di Firenze il 22 settembre scorso e che si protrarrà fino al 22 gennaio 2012, pone proprio tale forma di governo al centro di una profonda, nonché eterogenea riflessione, accomunando artisti provenienti da diversi continenti e da diverse “manifestazioni” di democrazia, evidenziando come ormai il modello occidentale sia arrivato ad una sorta di collasso su se stesso, con una conseguente involuzione.

Caratteristica positiva e propositiva è la forma d’interazione, che sin dall’entrata, coinvolge il visitatore in una forma di referendum popolare indetto dal museo stesso, con un quesito leggermente capzioso, ovvero: “La maggioranza ha sempre ragione?” e si dipana all’interno della mostra in altre tre installazioni presenti; la prima, di Michael Bielicky & Kamila B. RichterGarden of error and decay – 2010, permette al visitatore di dare il suo contributo “sparando” (mediante un joystick) alle figure animate sul fondale bianco. Un’intelligente creazione mutuata dai videogame che, grazie ai feed di Twitter ed ai dati della borsa, viene aggiornata in tempo reale, mutando gli elementi che compongono questo giardino virtuale. La seconda è un’iniziativa del collettivo italiano Buuuuuuuuu, che chiede ai presenti sia d’interagire con la rete, registrando e caricando su Youtube un sorriso di “protesta” al premier Berlusconi (One minute smile against Berlusconi, 2011), sia con i presenti alla mostra, scrivendo un proprio slogan su degli spazi appositi o declamandolo al megafono (Political slogan, 2011). Infine, Lucy Kimbell ( in collaborazione col sociologo Andrew Barry) ci mette a disposizione le sue Physical Bar Charts (2011), chiedendo al singolo visitatore di prelevare ed indossare una delle otto spille contenute negli appositi silos, in relazione all’azione che, nella settimana trascorsa lo ha fatto sentire un cittadino e che saranno poi gli indicatori dell’attivismo sociale dei presenti.

Buuuuuuuuu

Significativi anche i video: i cortometraggi di Artur Zmijewski in Democracies (2009) sulle manifestazioni collettive di carattere più disparato (dal funerale di Jörg Haider ad una dimostrazione di donne per il diritto all’aborto, passando per una parata di tifosi tedeschi ubriachi); When faith moves mountain (2002) di Francis Alÿs, reportage dell’impresa svolta da 500 volontari in Perù per spostare una duna di sabbia del diametro di 200 metri di almeno 10 centimetri, manifesto della forza collettiva e della fede comune (ma anche della possibile inutilità di tali sforzi); Ser y Durar (2011), del collettivo spagnolo Democracia, fa dialogare due traceurs di parkour col cimitero civile La Almudena di Madrid, come espressione del percorso individuale che si staglia libero e ribelle, anche davanti (sopra e sotto) monumenti storici che stanno alla base della democrazia spagnola pre-franchista; infine, il video di Juan Manuel Echavarria, Bocas de Ceniza, pone sotto i riflettori le storie di sette contadini afro-colombiani che raccontano, attraverso dei canti popolari, la loro esperienza “democratica” in una Colombia ufficiosamente ancora sotto il controllo delle forze armate.

A coronare la mostra le opere di Thomas Klipper, col suo progetto A Lighthouse for Lampedusa (2009), per riutilizzare i resti dei barconi dei migranti, incagliatisi nel fine di raggiungere la costa siciliana, e le tre incisioni su linoleum stampate su stoffa del 2009: John Heartfield and Silvio Berlusconi, State of control, State of control – Migrants on their way to Lampedusa; la serie di c-prints di Roger Cremers sul Reenactment, del 2010, dove la drammaticità storica dell’evento riproposto si scontra con la spensieratezza dei soggetti, nostri contemporanei, suscitando ironia e riflessione; la creazione (o le creature) di Thomas Feuerstein, che col suo “Parlament” – 2009 illustra il comportamento dei myxomiceti, funghi elementari che possono fondersi in un unico organismo, chiamato plasmodio e che vediamo alle prese con una sostanza nutritiva, posta in vetta ad una complessa struttura di vetro, metafora sull’unione che fa la forza.
Due interventi meritano menzione a parte: il primo, quello di Thomas Hirschhorn, Where do I stand, What do I want (2007), consta di otto notebook compilati dall’artista con sue riflessioni, ritagli, disegni o citazioni sulla possibilità di intervenire sulla realtà attuale in prima persona (audace la scelta di esporne alcune pagine significative, mediante crude fotocopie, fissate al muro da chiodi); e quello di Cesare Pietroiusti, Scuola Quadri, che offre la possibilità di seguire un workshop da lui ideato per Declining Democracy per “formare” giovani che si stanno dedicando attivamente alla politica (il bando è sul sito del museo).

Una mostra che suscita infinite domande e conseguenti spunti di riflessione; ci si può rispecchiare nelle prese di posizione di uno o dell’altro artista, oppure essere in completo disaccordo; pare, però, che il fine non risieda nel trovare consensi, ma smuovere il pensiero, atrofizzato da tanti, troppi messaggi ed informazioni superflue che ci bombardano nel quotidiano, perdendo di vista la situazione attuale che, giorno dopo giorno, viviamo e che dovrebbe farci chiedere: “La maggioranza ha sempre ragione?”
A voi il verdetto.

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