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Collezioni, collezionisti e curatori: una conversazione con Giovanni Blanco, Francesco e Carlo Falciani a lato della mostra Sammeln

Wunderkammer – Opere di F. Falciani e G. Blanco

In tedesco c’è una parola che copre i vari significati di collezionare, accumulare, raccogliere, concentrare, radunare: sammeln. Così è la mostra di Giovanni Blanco e Francesco Falciani, che si terrà fino al 6 gennaio 2013 alla Galleria antiquaria Botticelli di Firenze. Una collezione di arte contemporanea in mezzo a una collezione di antichità e allo stesso tempo anche un’accumulazione di materia e materiali, una raccolta di mezzi tecnici, un concentrato di tecniche, un raduno di significati, significanti e rimandi. Si va dalla collezione di farfalle (grafite su carta), coleotteri (smalto su carta), ritratti (tecniche miste su tavola),  sculture, fotografie stampate su cinque metri di carta e tre video di Falciani, alle costruzioni (tempere su carta, legno e plastica), i teschi (carboncino), la scimmia (una grande tela a olio), il video e la performance (diapositive e carboncino su muro) di Blanco. Il tutto calato nella suggestiva atmosfera della galleria che accoglie prevalentemente sculture su legno e marmo di varie epoche. Un’esposizione site specific per la quale i due artisti, come spiega Laura Lombardi nella presentazione della mostra, “sono stati invitati a creare opere da porre in dialogo con i pezzi antichi della collezione”.

Il giorno dopo l’inaugurazione di Sammeln abbiamo fatto una chiacchierata insieme ai due artisti e a Carlo Falciani, critico d’arte e curatore, per parlare di collezioni, collezionismo e naturalmente della mostra.

Roberto Balò. Com’è nata l’idea di Sammeln?

Francesco Falciani. L’idea è stata nostra, mia e di Giovanni…

Roberto Balò. Come mai quest’idea della collezione? Da cosa viene?

Giovanni Blanco. La riflessione sulla collezione porta il discorso su un versante critico rispetto alla conoscenza degli oggetti.

Francesco Falciani. E rispetto allo spazio della galleria.

Giovanni Blanco. Sì, e siccome la mostra in fondo nasceva anche autonomamente, perché già lo spazio, come dice Francesco, suggeriva su un piano critico un’anti-collezione che sarebbe venuta fuori, ci sembrava la cosa più giusta in uno luogo così forte e carico.

Francesco Falciani. Avremmo potuto scegliere di fare delle opere completamente contrastanti formalmente con le opere antiche, invece abbiamo ragionato sistematicamente, e quindi, paradossalmente, pur presentando opere tecnicamente abbastanza tradizionali, il risultato è una mostra concettuale; più concettuale così che se avessimo scelto delle forme completamente lontane e distanti dalle opere presenti in galleria.

“Labor lieutenants of the capitalist class” di F. Falciani

Giovanni Blanco. Tra l’altro, per quel che mi riguarda, senza tradire una certa processualità di costruzione dell’opera: in questa mostra presento un video e una performance e non mi è sembrato di fare uno strappo a quanto io normalmente faccio. Quindi lo spazio ha tirato fuori alcuni linguaggi che nella mia ricerca mai avrei sognato di toccare, sempre però restando coerente con la mia ricerca. E la coerenza nella collezione l’ho trovata sinergica con il lavoro di Francesco.

Roberto Balò. Che funzione ha avuto il curatore nell’allestimento?

Francesco Falciani. La curatela in questo caso è fondamentalmente degli artisti: la figura del curatore ha molto senso quando si prendono delle opere decontestualizzate e il curatore costruisce un proprio discorso; in questo caso le opere sono state tutte pensate per questa mostra, non sono opere nate in precedenza e poi riadattate per un discorso altro. È chiaro che difficilmente un curatore può fare questo preventivamente.

Roberto Balò. Quindi le opere che avete fatto dialogano con lo spazio e con le opere già presenti in galleria

Francesco Falciani. Ci siamo posti la domanda che cos’è una galleria antiquaria: non è soltanto un negozio, un posto dove si vende; ci siamo chiesti inoltre quale tipologia di persona può frequentare questo luogo, sicuramente il collezionista, e abbiamo fatto quindi anche un lavoro sulla figura del collezionista: il collezionista patologico che accumula borsine, bottiglie di plastica… Impressionanti sono i collezionisti di giocattoli che non aprono i giocattoli, li conservano nelle scatole perché hanno più valore.

Roberto Balò. Ma qual è la motivazione del collezionista, cosa lo spinge?

Giovanni Blanco. Quando ci hanno proposto di fare questo intervento stavo leggendo il libro di Elio Grazioli, La collezione come opera d’arte, che individua nella collezione una forma d’arte contemporanea e si pone la domanda che cosa sia la collezione oggi. Naturalmente declina il collezionista nell’ambito del patologico, scientifico, filologico, però dice anche che l’insieme delle cose raccolte costituisce un’opera unica. Nell’azzeramento delle singole cose c’è un pensiero unico che ha bisogno che quella scatola di giocattoli non venga aperta, in modo da averne una completezza d’insieme. Questa è già un’idea di opera, oggi.

Francesco Falciani. Come dice Laura Lombardi nel testo di presentazione della mostra, citando Benjamin, il collezionista è una figura che costruisce il mondo: in qualche modo ne riorganizza la memoria, il passato storico, dà anche una sistematizzazione ed ha alla fine una funzione conservativa.

Carlo Falciani. Ma collezionare ha anche un senso di riempire una mancanza. Il collezionista deve colmare un luogo vuoto che a un certo punto ha bisogno di svuotare di nuovo. È frequentissimo il caso di collezionisti che saturano il loro mondo e poi hanno bisogno di vendere tutto e ricreare un altro spazio che dovrà essere colmato. È quindi anche una cosa meno razionale del ri-rappresentare un mondo: per il collezionismo “antico” era creare uno spazio, lo studiolo per esempio. Mentre l’accumulo tende a colmare un vuoto.

La collezione di statue di Botticelli Antichità

Francesco Falciani: La collezione può essere anche uno status…

Carlo Falciani: Ma allora non è più un collezionista. Quando hai comprato un’opera questa è già stata esaurita con l’atto dell’acquisto. Poi diventa inutile, la metti lì.

Roberto Balò. Non mi sembra però che dalla vostra mostra esca fuori una critica tout court del collezionismo. Non avete preso una posizione precisa, ci sono molti punti di vista: si va da accenni ironici come il quadro di Giovanni della scimmia che studia delle carte, ci sono le due grandi fotografie di Francesco che si legano a quello che si diceva prima del vuoto, del riempire, ci sono i video… insomma avete giocato sul filo…

Francesco Falciani: Chiaramente un minimo di discordanza nei confronti di quella tipologia di spazio c’è stata: il gioco ironico della piccola vetrina, di questi oggetti che non si capisce bene se sono preziosi o scherzosi.

Giovanni Blanco. Prima si parlava di sinergia, di commistioni tra i nostri lavori: ad esempio la riconoscibilità dei nostri rispettivi interventi a volte è venuta a mancare. Qualcuno ci ha chiesto: “Avete fatto una scelta nel non mettere i nomi?”. E questa è già un’operazione critica molto precisa per due artisti contemporanei che vogliono ragionare non escludendosi come individui, ma portando assieme un pensiero unico.

Francesco Falciani. Questo lavorare insieme ci ha portato tutti e due a fare cose che normalmente non facevamo. Abbiamo entrambi usato tecniche per noi nuove, sia nella pittura che nell’uso di video e performance. Ci è servito a lavorare su sostanze e forme molto diverse da quelle a cui eravamo abituati. È quindi una collaborazione che ha portato nel mio lavoro una serie di aspetti che prima non c’erano.

Roberto Balò. Si vede anche dalla mostra di Bologna un cambiamento, un’evoluzione. E la tua performance Giovanni, qual è il risultato, come la leggi?

Giovanni Blanco. È successo quello che mi aspettavo. La performance, nella giustapposizione di immagini che ho raccolto in momenti differenti, voleva risaldare elementi esterni che si sono combinati. Alla fine questi elementi si sono annullati creando una sottrazione del significato.

Francesco Falciani. Il collezionista accumula e alla fine satura lo spazio, così la sovrapposizione di immagini.

Un momento della performance di Giovanni Blanco (performer Laura Torlone)

Giovanni Blanco. L’insieme dell’accumulo non corrisponde più al riconoscimento di una forma, ma alla sua negazione. Proiezione su proiezione, segno su segno, diventa tutto nero. Questa è l’idea di anti-collezione. Così anche il video che era lì accanto: lo spostamento delle foglie crea un segno. I teschi che sono una riflessione sulla materia stessa. La materia della foglia, dal punto di vista minerale, è simile a quella del carbone e così anche il teschio. Essendo io pittore, ho bisogno di impastare le cose in un’idea di continuità. La scimmia, un omaggio a Chardin, chiude il cerchio. Conosco due quadri: il primo è l’antiquario-scimmia che sfoglia attentamente le stampe e naturalmente non ci capisce nulla, il secondo è il pittore-scimmia, come sono io, che si illude di cambiare il mondo attraverso la rappresentazione. Quindi riattualizzare, in maniera ludica e leggera, questa scimmia in mezzo all’accumulo di sculture antiche, mi sembrava un modo di ricostruire un’idea.

Roberto Balò. Che cosa vi manca ora: c’è la pittura, la fotografia, il video?

Francesco Falciani. Penso che gli artisti in ogni epoca abbiano cercato di sfruttare i mezzi che avevano a disposizione. Sai perché questa varietà: lo spazio era molto complicato da gestire.

Carlo Falciani. Secondo me è un pretesto: non è solo una reazione agli spazi, è un qualcosa a cui state tendendo. Se hai una visione forte che poi tu la usi nel video, nella fotografia, nel disegno, il risultato non cambia e si vede. Richter è un maestro in questo.

Francesco Falciani. Però lo spazio ha influito nel farci usare questi mezzi. La volontà era di costruire una sorta di macchina scenica, con dei rumori, delle quinte: le grandi foto sono interessanti in se stesse ma hanno anche una funzione teatrale. L’abbiamo fatto soprattutto nella parte grande della galleria, con mezzi molto piccoli, non sofisticatissimi: con un quadro, tre televisori e due foto, insieme naturalmente alle sculture antiche, questo senso di macchina scenica alla fine mi sembra che sia uscito.

Giovanni Blanco. In questa mostra abbiamo poi ragionato anche in senso temporale: non c’è una sequenza logica, le cose possono essere mescolate, viste prima o dopo, tuttavia permane un’idea generale. Non abbiamo voluto ricreare un museo, quello del collezionista, strutturato in maniera didattica con un percorso che deve sempre andare a convincere il pubblico. Io non mi sento portato a convincere nessuno.

Roberto Balò. Si ritorna al discorso iniziale sulla funzione del curatore.

Francesco Falciani. Il discorso di Laura Lombardi è stata più una riflessione sul lavoro e a me interessa molto questo tipo di intervento intellettuale sul lavoro dell’artista. In queste mostre piccole, in galleria, secondo me l’artista deve avere un’idea di come intervenire, non ci può essere sempre la necessità di un retropensiero.

Carlo Falciani. Questo del curatore è spesso un fraintendimento del contemporaneo. Il curatore sceglie un tema generale a priori in modo da poterci accordare opere differenti che diventano simili in un dialogo esteriore intorno ad un tema dato: il viaggio, ecc. La proliferazione dei curatori nel contemporaneo come figura intermedia fra artista e gallerista è un segno sofistico della società dove i colori sono uguali perché sono colori: invece uno è bianco e uno è nero. Così gli artisti diventano tutti uguali anche se fanno cose diverse, alla fine è una sorta di omologazione.

Roberto Balò. Come nelle ultime biennali: Fare mondi, Illuminazioni, il Palazzo Enciclopedico

Giovanni Blanco. È curioso: la tematica della prossima Biennale è molto simile alla nostra!

Fotografie di Cecilia Pontenani e Roberto Balò.

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Accademia del Giglio, lingua italiana, arte e cultura a Firenze.

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